Originario di Specchia nel Salento, Antonio era un giovanissimo operaio di un calzaturificio di Tricase. Ma la sua vita non si esauriva nel lavoro. In parallelo svolgeva attività sindacale, aveva una fidanzata e una grande passione per la sua moto cilindrata 600. Il destino di Antonio, però, cambia irreversibilmente nel 1996 quando, a 21 anni, decide di fondare un’associazione di volontariato: «Ci dedicavamo alla tutela dell’ambiente e ai disabili – racconta -. Poi abbiamo iniziato con le missioni in Bosnia-Erzegovina e in Albania. Portavamo viveri a chi ne aveva bisogno. Lì ho visto come i sacerdoti si dedicavano ai ragazzi e quello che da sempre mi portavo dentro e rifiutavo di accettare è uscito fuori. Lì è cambiata la mia vita».
Da ex operaio in una fabbrica salentina, quindi, a sacerdote fondatore di un’opera per gli emarginati. Una vita rivoluzionata nel giro di pochi anni e dedicata ai poveri e ai bisognosi. Ma allo stesso tempo molto «scomoda», addirittura «da eliminare». Don Antonio Coluccia lotta da anni per restituire dignità agli uomini della sua parrocchia e non solo, ma gli ostacoli incontrati lungo il percorso non sono stati pochi.
Partiamo dal 2012 quando il parroco pugliese trasforma una villa confiscata ad un boss della banda della Magliana in una casa di accoglienza, fondando nel 2012 l’opera Don Giustino Onlus, una comunità destinata a coloro che vivono ai margini.
Don Antonio è stato il bersaglio di un agguato con pistola a piombini fuori dalla chiesa in cui opera a Grottarossa. Pochi mesi dopo un’altra minaccia di morte in una busta, a lui indirizzata, contenente un proiettile. Oggi sul prete pugliese la prefettura ha disposto come misura di protezione la vigilanza delle forze dell’ordine.